Se con lo zainetto delle elementari metto in discussione l’identità sessuale di un bimbo

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Arrivato alla sua 37ma edizione, il Premio della letteratura per Ragazzi di Cento (provincia di Ferrara) apre quest’anno a tematiche di attualità̀, accodandosi al pensiero unico e inserendo tra i titoli finalisti di un concorso letterario per bambini un libro di chiarissima ispirazione gender, destinato ai lettori delle scuole elementari.
Promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cento, con il patrocinio del Comune, della Regione e dell’Ufficio scolastico regionale per l’Emilia Romagna, il concorso coinvolge circa 10 mila studenti di varie parti di Italia e anche di nazioni estere.

copertina-spiderman-bassaLa scelta operata dalla giuria tecnica di inserire nella terna finalista “Mi piace Spiderman… e allora?” di Giorgia Vezzoli, ha fatto sorgere subito qualche interrogativo ad alcuni attenti genitori. Questo titolo è edito da Settenove, una casa editrice per ragazzi, che si definisce “contro gli stereotipi e la violenza di genere” e che collabora a convegni sull’educazione insieme ad associazioni come SCOSSE e il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli.

Un rapido approfondimento ha svelato il pensiero di una scrittrice che racconta ai bambini, attraverso parole semplici e disegni accattivanti, come ognuno di noi fin da piccolo possa decidere la propria identità sessuale indipendentemente dal proprio sesso biologico.

Infatti se la storia si apre con una ragazzina che preferisce uno zainetto da maschio e viene ovviamente accontentata  (e che male ci sarebbe, diremmo tutti?) a metà libro la protagonista – evidentemente ben decostruita – dopo una visita alle amiche lesbiche della madre esordisce:  “Adesso so che quando sarò grande potrò avere un fidanzato oppure una fidanzata”. Per inciso: Cloe, la protagonista del libro, ha 6 anni.

Insomma: il gender non c’è, il gender non esiste, ma è dappertutto ed entra nelle scuole oltre che attraverso numerosi corsi di formazione per insegnanti e per alunni, anche attraverso letture proposte dalle biblioteche (come nel progetto “In Vitro”, che nelle scuole umbre introduce insieme a molti altri anche questo stesso titolo) e ora tramite concorsi letterari “blasonati” e ben sovvenzionati, dove la possibilità dei genitori di conoscere i contenuti didattici, diventa ancora più remota.

La sezione di Bologna del Comitato Articolo 26 ha raccolto le preoccupazioni dei genitori centesi : “Non riusciamo a capire perché la giuria incaricata dalla Fondazione abbia scelto un libro che tratta temi così delicati in una maniera poco rispettosa della sensibilità dei nostri figli e del nostro ruolo di primi educatori. Siamo stati male informati di questa operazione che riteniamo una pura strumentalizzazione. Ci stupisce che questo importante concorso letterario venga utilizzato per veicolare messaggi ideologici nella scuola e ci vediamo costretti a mettere in discussione il rapporto di corresponsabilità educativa con l’istituzione scolastica a cui abbiamo affidato i nostri figli”.

La diffusione di questo libro all’interno delle scuole crea problemi non solo per i genitori, ma anche per i docenti. Non è la prima volta che le maestre di questa zona si ritrovano tra le mani un libro in concorso che le mette in seria difficoltà nei confronti degli alunni e delle famiglie e a causa di questo sono state costrette già in passato ad operare tagli di intere pagine per evitare argomenti inopportuni per i bambini.

Strana dunque la scelta effettuata da questa giuria di tecnici (psicologi, pedagogisti, docenti) che scontenta tutti: genitori e insegnanti. Le domande da porsi in merito sarebbero tante, ma tra tutte: perché un libro scelto per i bambini, alla fine si dimostra non adatto a loro?

Se si approfondisse davvero la questione dal punto di vista psicologico sarebbe chiaro che questo libro non tiene affatto conto del pensiero concreto dei bambini, i quali hanno una mente molto legata al dato empirico e hanno bisogno di certezze che gli arrivino dalla loro esperienza con la realtà.

Fino a quando nel libro viene espresso il concetto che non c’è nulla di male se una bambina prediliga lo zaino di Spiderman che solitamente interessa di più i maschietti, che dire, davvero non c’è nulla di male. Chi entra in contatto con il mondo dei bambini sa che la loro mente è lineare e non presenta le complicazioni del cervello adulto. Non a caso Piaget, l’autore che più di ogni altro ha studiato le tappe dello sviluppo dell’intelligenza in età evolutiva, parla dello sviluppo del pensiero ipotetico deduttivo intorno ai 16 anni.

Ipotizzare che dalla passione per uno zainetto di Spiderman la bimba avrà anche il desiderio di avere anche una fidanzata ci sembra però poi una evidente forzatura per il pensiero concreto dei bambini.

Il secondo rischio che si intravede in questo libro è quello di creare un nuovo stereotipo e cioè che le bimbe che scelgono lo zaino di Spiderman un giorno sceglieranno anche di avere una fidanzata.

Per agire in modo produttivo nella mente dei bambini, che hanno un modo di elaborare l’informazione diverso da quello degli adulti, non bisogna mandare messaggi su piani diversi perché possono generare in loro paure forti, blocchi o confusione.

Perché allora cercare di creare l’associazione implicita tra il fatto che chi ama Spiderman forse un giorno vorrà anche una fidanzata?

Gregory Bateson ritroverebbe in questo modo di procedere un “doppio legame”, cioè un modo di mandare contemporaneamente due messaggi in contrasto tra loro: sei libera di scegliere lo zaino di Spiderman che di solito viene scelto dai maschietti e non c’è nulla di male in questo. Mandare questo messaggio sarebbe ottimo e innovativo. Ma l’autore della fiaba manda un secondo messaggio: chi oggi sceglie lo zainetto di Spiderman da grande sarà libero anche di scegliere se avere una fidanzata piuttosto che un fidanzato.

Perché mandare questo messaggio? E non è bizzarro che chi si prefigge come scopo ufficiale di decostruire gli stereotipi poi lo faccia creandone subdolamente di nuovi?

Risulta quindi sempre più evidente cosa si sta cercando di fare attraverso moltissimi progetti – apparentemente innocui – sulla cosiddetta “decostruzione degli stereotipi”: dal mettere in discussione il “ruolo di genere” che la società imporrebbe (la femminuccia tutta rosa, per esempio) si passa a mettere in discussione l’ “identità di genere” (e anche la cosiddetta “eteronormatività”). Dallo zaino di spiderman, alla bisessualità (o alla fluidità di genere): il passo è breve.

E così il gender è servito. Il tutto per compiacere desideri di minoranze ideologizzate di adulti che non si fanno problemi a soverchiare i diritti dei bambini e delle loro famiglie.

Genitori e docenti invocano ora maggior trasparenza su tutta la faccenda ed il Comitato Articolo 26 presenterà i loro formali reclami e le richieste di chiarimenti alle autorità competenti.

Assistiamo finalmente in tutta Italia alla crescita di reti di genitori che vogliono riaffermare la propria responsabilità educativa, in una reale continuità con la scuola, senza che essa imponga scelte unilaterali e non condivise.

Oggi che lo Stato con una legge approvata al Senato con tecniche anti-democratiche, vuole imporre una “cultura gender di stato”, sarà la formazione di genitori partecipi e “competenti” – responsabili e capaci di dialogare efficacemente con le istituzioni – a costituire l’argine decisivo alla deriva irrazionale che proprio nella scuola, e attraverso di essa, cerca la definitiva consacrazione e ulteriore propaganda.

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