Seconda uscita della nuova rubrica di Articolo 26 – DIARIO DI BORDO – che vuole essere uno spazio di esperienze e riflessioni su come famiglia e scuola si incontrano/confrontano in questo tempo. Oggi vi propone la riflessione di un papà e docente, amico di Articolo26, della Lombardia
Di G.R.C
In queste settimane di “didattica a distanza”, sembra che il “digitale” e le nuove tecnologie siano ormai diventati un qualcosa di imprescindibile per docenti, studenti e genitori.
Di fronte all’emergenza sanitaria che ha e sta condizionando ormai da settimane la vita dell’intero Paese, le nuove tecnologie si presentano oggi come l’unica risposta praticabile per rimanere in contatto e offrire una “vicinanza” ai nostri studenti.
Eppure, proprio l’esperienza di queste settimane, sta facendo emergere in molti la consapevolezza che ben altra sia la sfida che attende oggi il futuro della scuola.
Nell’ipotesi in cui, quasi per incanto e in pochi mesi, venissero superati tutti i limiti economici, tecnologici, di competenza, di copertura rete che sono sotto gli occhi di tutti e che rendono oggi la DAD non praticabile per molti studenti – ledendo in questo modo il diritto fondamentale all’istruzione – e tutti i ragazzi si trovassero nelle stesse condizioni, avremmo forse risolto il problema, avremmo veramente rinnovato e cambiato la scuola?
Percepiamo tutti una nostalgia di fondo, quasi una mancanza e un vuoto, che nessuna tecnologia o piattaforma potrà mai riempire: l’odore della classe, il contatto con i nostri studenti, il confronto e il caffè con i colleghi, il rumore delle carte delle merendine e le grida gioiose all’intervallo dei nostri ragazzi…
Abbiamo riscoperto, in altre parole, che la scuola è essenzialmente un luogo di relazioni, di incontro, un luogo in cui costruire rapporti significativi nella concretezza di una stretta di mano, di una pacca di incoraggiamento sulla spalla, di uno sguardo premuroso o di richiamo al silenzio, durante una verifica o un’interrogazione.
La scuola è “sinonimo di apertura alla realtà” del cuore e della mente ma è e resta, soprattutto, un luogo di incontro con l’altro: il compagno di banco, il gruppo classe, il professore, il personale ATA e amministrativo, i genitori, il dirigente scolastico… Quante possibilità offre la scuola, possibilità di cui oggi, privati della normale quotidianità, avvertiamo la mancanza.
L’esperienza di questi giorni è la prova lampante del fatto che abbiamo bisogno di coltivare una cultura dell’incontro, fosse anche solo per discutere, per confrontarci, per camminare insieme in un lavoro e in un reciproco arricchimento: prima sfida, questa, che attende tutti noi al ritorno tra i banchi di scuola.
Ma l’eccezionalità di un periodo, come quello che stiamo attraversando, è l’occasione per sfide altrettanto eccezionali.
Perché amare la scuola, si interrogava il 10 maggio 2014 di fronte ad una piazza gremita di alunni, genitori, docenti, dirigenti, un ex alunno d’eccezione?
“Proverò a dirvelo. Ho un’immagine. Ho sentito qui che non si cresce da soli e che è sempre uno sguardo che ti aiuta a crescere. E ho l’immagine del mio primo insegnante, quella donna, quella maestra, che mi ha preso a 6 anni, al primo livello della scuola. Non l’ho mai dimenticata. Lei mi ha fatto amare la scuola.”
Una presenza adulta significativa: ecco la grande sfida che attende tutti noi!
La scuola non ha bisogno di docenti intesi come meri facilitatori di processi di apprendimento, sempre più condizionati e modulati da piattaforme e da applicazioni a senso unico, ma di adulti capaci – nella costante tensione all’aggiornamento didattico e tecnologico – di costruire e salvaguardare luoghi e spazi fisici di libertà, dove costruire e coltivare relazioni significative, nel rispetto del principio della libertà di insegnamento e della libertà di scelta educativa.