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    Perché alcune associazioni accreditate all’UNAR non possono “fare educazione” – La parola alla pedagogia

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    By Articolo 26 on 20 Marzo 2017 Dall'associazione, Educare all'affettività, Educazione

    Come ciò che la scienza spiega, lo intuisce già il buon senso dei genitori

    Il recente scandalo che ha coinvolto locali in cui si pratica sesso estremo e prostituzione omosessuale tenuti da associazioni accreditate presso l’UNAR e finanziate con denaro pubblico, ha tenuto banco sui media negli ultimi giorni. A partire dal governo Monti e dall’allora ministro del Lavoro con delega alle Pari opportunità Elsa Fornero, l’UNAR ha visto esteso il suo mandato alle discriminazioni di persone con orientamento omosessuale (quasi che gli omosessuali costituiscano una ‘razza’: cosa che, si ammetterà, potrebbe costituire già di per sé un grave pregiudizio); UNAR che da quando è stato rideclinato in ufficio “a difesa delle differenze” ha più volte lasciato perplessi per approccio, prese di posizione e sconfinamenti, come per l’avvio di una «Strategia Nazionale contro la discriminazione basata sull’identità di genere e l’orientamento sessuale», che aveva l’asse di intervento privilegiato proprio nella scuola, attraverso libretti destinati a tutte le scuole e poi bloccati dal MIUR per i contenuti omosessualisti.

    Lo scandalo sollevato dal servizio de “Le Iene” ha visto scatenarsi i movimenti in difesa dei diritti delle famiglie nel reclamare l’immediata cancellazione di queste associazioni dal bando UNAR che assegnava loro cospicui fondi pubblici, dopo che già nel tavolo di regia di quella “Strategia” erano state coinvolte solo associazioni LGBT che, come quelle denunciate dal servizio delle Iene, si occuperebbero di portare nelle scuole una educazione dichiaratamente “libera da pregiudizi” e “progetti volti alla modifica di questi atteggiamenti nei confronti di persone omosessuali”, nelle scuole di ogni ordine e grado.

    Purtroppo, nel dilungarsi su fori gloriosi e camere oscure di vario tipo che – potrebbe ritenersi – riguarderebbero la vita privata delle persone, si è arrivati a far emergere la tesi che chi si diletta in determinate pratiche sessuali oggi non può più entrare nella scuola per colpa della preoccupazione che certe pratiche – ‘private’ appunto – destano in persone, definibili in buona sostanza sessuofobe ed omofobe.

    Ma chi è un “EDUCATORE”?

    A questo punto è necessario fermarsi un attimo a riflettere su cosa vuol dire essere educatori oggi, possibilmente senza tirare fuori la tiritera trita e ritrita delle pratiche già in uso nell’antica Grecia, come se le sparute testimonianze di casi analoghi nell’antichità rendessero obbligatorio innalzarle a norma di ogni cultura ed epoca storica.

    Le pratiche educative non avvengono a caso: devono rispondere a criteri precisi di formalità ed intenzionalità. Esse si collocano in una cornice precisa denominata “setting educativo”. Il setting è costituito da contenuti, norme, tempi e regole precisi.

    Pensiamo alla giornata di una scolaresca: essa si svolge per la gran parte in un’aula scolastica ed è scandita da tempi, norme e regole predefiniti; l’aula è un setting, così come lo è una palestra, una ludoteca, un oratorio, una casa famiglia ecc.

    Tuttavia si fa educazione anche in luoghi aperti dove non è possibile costruire un setting preciso; pensiamo alle recenti esperienze delle “scuole nel bosco” o alle gite scout, come pure a determinate interessanti esperienze educative che si svolgono in strada (l’educativa di strada nei quartieri degradati; i camper rosa tramite i quali si cerca di togliere giovani immigrate dalla strada) o nelle discoteche (ebbene sì); addirittura nei rave party (ci sono interessanti esperienze di questo tipo).

    Ora qui dov’è il setting? In una discoteca, in un grande spazio aperto?

    E’ proprio in queste situazioni che il setting, da spazio esterno, diviene interno, interno alla persona dell’educatore. Vuol dire che l’educatore che opera in queste situazioni fluide, porta dentro di sé il progetto educativo che è dato – in modo analogo al setting esterno – da ciò che deve fare, cioè la progettazione educativa, che egli sa di dover seguire e portare a compimento.

    Ma non solo; egli porta se stesso come motore di cambiamento.

    Gli ingredienti indispensabili dell’educatore

    E quali sono – e veniamo al punto – i tratti salienti degli educatori?

    Difficile fare un profilo preciso visto che in questo ambito gioca un ruolo notevole l’individualità e la soggettività.

    Alcuni dicono che esistono educatori più efficaci nella relazione ed educatori più efficaci nell’applicazione di regole, ma in generale si può affermare che, in un modo o nell’altro, fanno sempre parte del bagaglio interno dell’educatore queste caratteristiche:
    l’affidabilità
    (ci si deve cioè fidare di lui); un organico e coerente sistema di valori; l’attendibilità (deve essere cioè uno che fa quello che dice); e poi ancora: flessibilità, convivialità, orientamento al futuro (quello che altri chiamano la speranza). L’educatore è insomma uno che non tradisce, uno che non ti dirà mai a fine contratto: guarda ora non puoi più lavare i piatti, ma se proprio vuoi lavorare ci sono i labirinti e i fori gloriosi, camere rosse e nere.

    Vogliamo dire che un educatore non sarà mai per la prostituzione: laico o cattolico, sposato o convivente, omosessuale o no. Su questo non si discute.

    Come non sarà mai per la droga a fiumi e neanche per lo spinello.

    Non a caso abbiamo fatto prima l’esempio delle donne vittime di tratta. Chi è che passa le nottate ad aspettare che queste giovani intirizzite dal freddo ti chiedano un tè o una sigaretta? Ebbene sì: gli educatori.

    Dunque educatori e prostituzione sono due termini antitetici, due realtà incompatibili, un binomio inconcepibile.

    E l’educazione, quella vera, ha un carattere distintivo: è etica; non moralistica: non forma persone perbene, ma persone che sappiano distinguere tra bene e male attraverso l’aiuto di persone in grado di discernere tra bene e male. Sarebbe quindi assurdo anche solo pensare che un educatore avalli pratiche sessuali in pubblico, senza voler entrare nel dettaglio di situazioni estreme delle quali abbiamo avuto evidenza in seguito alle ultime indiscrezioni sulle attività associative di questi gruppi.

    E i grandi educatori?

    È Maria Montessori, prima donna medico in Italia, che già nel 1908 si occupava di sessualità: incredibile vero? Ai primi del ’900 questa donna coraggiosa si faceva domande proprio sulla coerenza dell’educatore e fin dal 1908, anno in cui compare lo scritto: “La morale sessuale nell’educazione” in un congresso di donne italiane, Montessori anticipava la continuità di un’educazione ai principi riproduttivi, che coinvolge la madre e figlio, coadiuvata dalla scuola, e affermava la necessità di un principio di non contraddizione etica che impedisce alla donna educatrice (e per esteso alla società e al bambino ormai adulto) di tollerare la schiavitù, e poi assistere indifferente quando il giovane ricorre ai servizi di una donna resa schiava (leggi: una prostituta). (M. Montessori, La morale sessuale nell’Educazione, Consiglio Nazionale delle Donne italiane, Atti del I° Congresso nazionale delle donne italiane, 24.30 aprile 1908, Roma, stabilimento tipografico della Società Editrice Nazionale, 1912, pp. 272-281).

    In altre parole: non puoi dire che sei contro le discriminazioni (razziali e non) e poi approvare la prostituzione che è un’odiosa forma di discriminazione e non solo razziale.

    La pedagogia a sostegno dei genitori

    Sono queste alcune motivazioni pedagogiche a sostegno del no delle famiglie; è grandioso vedere la capacità intuitiva dei genitori che non è data solo dall’inorridire nel pensare che le stesse persone che frequentano determinati locali possano un domani essere nelle classi dei loro figli, vantandosi di insegnare a rispettare gli omosessuali come persone e portandosi dentro una tragica contraddizione.

     I genitori sanno intuitivamente che un educatore non può essere così platealmente incoerente e inaffidabile: intuitivamente sanno che la cura (intesa come ‘prendersi cura’ che rappresenta un’alta funzione educativa) non può avere niente a che fare con la manipolazione. E a queste gravi contraddizioni reagiscono.

    Abbiamo soltanto voluto dare voce e fondamento scientifico a quello che essi non sanno dire pedagogicamente, ma come educatori ‘naturali’ e prima agenzia educativa, hanno stampato a chiare lettere nella mente e nel cuore.

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