A Politics il Ministro Giannini non dà risposte

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Riportiamo di seguito un nostro articolo pubblicato sul Quotidiano La Croce.

Se un insegnante della scuola pubblica si permettesse durante un’assemblea di classe di rispondere ai genitori di un proprio alunno eludendo le loro legittime richieste o preoccupazioni come ha fatto il ministro Giannini nell’ultima trasmissione di Politics nei confronti di un papà come tanti, che le rivolgeva una semplice domanda con garbatissimi modi, rischierebbe come minimo un richiamo disciplinare dal proprio dirigente.

E a buon diritto. E tale sanzione influirebbe probabilmente sul giudizio che il Comitato di Valutazione dei Docenti –  presente da quest’anno in ogni scuola –   potrebbe esprimere sul suo operato.

Questa la domanda del genitore in sintesi in chiusura della trasmissione di rai tre:” Se la scuola pubblica introdurrà   forme di educazione affettiva e sessuale che toccano la sfera intima degli alunni e le scelte educativa delle famiglie, i genitori italiani verranno lasciati liberi di esprimere o meno il loro consenso alla partecipazione dei propri figli?”

Ci saremmo aspettati una risposta accogliente e rassicurante e da parte di un rappresentante delle istituzioni ad un utente del servizio pubblico.

Invece, nulla di tutto ciò.

Innanzitutto la Giannini ha risposto dicendo cose che non c’ entravano nulla (come se a uno che vi chiedesse da bere voi rispondeste dicendo che ore sono; ma qui con tutto il rispetto dovuto, si parla di massime cariche dello Stato); e le cose che ha detto sono peraltro   estremamente   gravi.

Primo. Ha negato l’esistenza di un problema concreto ed evidente: che nella scuola pubblica si sta cercando di introdurre forme obbligatorie di educazione sessuale e affettiva anche – ma non solo – attraverso l’educazione cosiddetta “di genere”. Proprio ieri si sono concluse alla commissione cultura della Camera le audizioni su 8 proposte di legge recanti “Introduzione dell’educazione di genere nel sistema di Istruzione Italiano” comprese proposte di educazione sessuale, caldeggiate da 5 Stelle e PD.E dove di primato dei genitori non c’ è manco l’ombra.

Secondo. A sentir ripetere che il comma 16 della nuova legge sulla scuola, le cui linee guida stanno per uscire, parla solo di discriminazioni e di pari opportunità e che non introdurrebbe alcun contenuto di educazione affettiva o sessuale né tantomeno il fantomatico gender inventato dai cattolici, francamente non se ne può più.

Se in tema di discriminazioni come nel caso di quelle legate al genere e all’identità affrontate nel comma 16, si arriva a parlare di relazioni, ruoli e modelli femminili e maschili, si tratta di pelar carote, scusate? O non si sta già a piedi pari dentro la sfera affettiva degli alunni?

E davvero qualcuno pensa che i progetti scolastici che in questi due anni hanno insegnato ai nostri figli piccoli che ogni comportamento sessuale – dal  bisex al poliamore  – è uguale (non le persone: quelle sì che  sono sempre uguali in dignità) e che avere due mamme o due papà o affittare l’utero e comprare bambini fa lo stesso, che la mamma è uno stereotipo alla base dei femminicidi;  davvero qualcuno pensa che sul curriculum ce li avrebbero presentati con la specifica:” Progetto  gender  che confonde l’identità, privo di fondamenti pedagogici ideologico e di parte? Stare alla larga: altamente nocivo”?

O non erano tutti progetti entrati nelle scuole con il buonissimo fine di prevenire le discriminazioni (mai una volta però che si precisi che le persone non si devono discriminare, ma le idee sì), il bullismo e la violenza, per cui guai ad avanzare qualche dubbio sui metodi che poi ti chiamano sessista e omofobo?

Un rischio, questo dell’introduzione di progetti non condivisi nelle scuole, che il responsabile del Ministero dovrebbe quanto meno prendere in considerazione anziché irridere chi lo fa solo presente liquidandolo con un “è tutta fantasia” come accaduto  l’ altra sera a rai tre.

E inoltre con quelle parole il ministro  avrebbe smentito se stessa perché  in un’ intervista al Corriere della Sera  ha solo  da poco  affermato che queste  linee guida introdurranno  tramite la formazione degli insegnanti proprio “l’educazione all’affettività” nelle scuole italiane (“perché la scuola non parla d’amore”); attività che il Corriere ha inquadrato ancor più direttamente in quell’“educazione sessuale“ di cui l’Italia sarebbe deficitaria rispetto alla ovviamente  più “progredita” Europa

Parlando di educazione all’affettività circa questo documento di imminente diffusione, il ministro Giannini ha già quindi  lasciato intendere che il comma 16 della Buona scuola, non assicurerà genericamente solo “l’attuazione dei principi di pari opportunità, (…) l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”, ma che con esso si potrebbe arrivare a tutti gli effetti all’introduzione di un’educazione affettiva e sessuale “di stato” e obbligatoria, senza  poter considerare quindi le differenze educative e culturali che caratterizzano gli alunni e le famiglie italiane, la cui la libertà di educazione – su temi tanto delicati – rischia a  tutti gli effetti di venire scavalcata.

Se c’ è poi da rileggere qualcosa del comma 16, come ha tuonato sul malcapitato genitore la Giannini, allora per favore, ci si rilegga   l’art 5 c. 2 del decreto legge 93/2013 convertito in legge 119/2013 che campeggia e quindi è richiamato a tutti gli effetti tra le 4  così banali righe del comma 16.

Questo riferimento di legge richiama una parte specifica della legge contro i femminicidi che si intitola “Piano d’azione straordinario contro la Violenza sessuale e di genere” (presentato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 7 maggio 2015 e adottato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 luglio 2015) quello con cui il parlamento italiano ha recepito a maggioranza la convenzione di Istanbul. Andando a leggere il capitolo sull’educazione si trova che nelle scuola si deve inserire la tematica dell’identità di genere.

Di questo concetto allo stato attuale non esiste una definizione scientifica o giuridica condivisa, anzi le accezioni sono così tante e confuse che mentre per alcuni riguarda solo l’essere maschi o femmine, su Facebook si trova l’elenco di 56 possibili identità di genere da pangender a genderneutral.

Può la scuola pubblica per mezzo del suo variegatissimo stuolo di docenti   introdurre un concetto legato alla sessualità tanto confusivo e delicato e per di più con bambini e ragazzi la cui identità è in formazione? Immaginate se gli insegnanti dei vostri figli venissero formati per fare un’educazione sessuale ispirata ad una visione diversa – seppur legittima – dalla vostra. Vi farebbe piacere che si insegnassero ai vostri figli comportamenti sessuali e affettivi o modi di intendere l’identità sessuale diversi da quelli voi ritenete buoni per loro?

E si potrà dissentire dall’assunto del suddetto Piano secondo il quale “la violenza di genere ha un carattere antropologico”, legato cioè alle differenze tra uomo e donna (come dire che in quanto maschi gli uomini operano violenza sulle donne)?

Evidentemente no. Anzi, evidentemente i genitori non potranno dissentire su nulla, se neppure gli si concede la scelta facoltativa su temi sensibili il cui primato spetta a loro, ma neanche li si ascolta e alla fine gli si dà anche dei folli visionari. Quando interi dossier di casi di denunce di progetti didattici critici o non condivisi sono stati consegnati alla Giannini e alla Boschi, ad esempio dal Comitato Difendiamo i Nostri Figli, insieme a decine di richieste formali di riconoscere su tutta l’educazione affettiva e, con le prossime linee guida su parità di sessi e discriminazioni, l’obbligo del consenso informato preventivo e la possibilità di esonero.

A questo punto i genitori della scuola pubblica italiana – sì quelli che pagano le tasse, sono la forza viva del paese e di cui si parla in decine di trattati internazionali come primari depositari dell’educazione dei figli – possono definitivamente sapere di essere orfani della scuola.

Sì, perché oltre ad essere tra i pochissimi al mondo a non poter scegliere liberamente la scuola dei loro figli, non avranno neanche la possibilità di rifiutare un’educazione che non condividono.

Qui giace la Libertà di educazione.

In questi stessi giorni poi ci imbattiamo su Facebook in un post del sottosegretario Toccafondi, il quale conferma e rassicura che “le scuole all’interno di questa cornice (il comma 16), potranno scegliere che tipo di progetti proporre ai propri alunni, avendo prima informato le famiglie, perché come dice la Costituzione all’art. 30: spetta ai genitori il ruolo centrale di educazione dei loro figli.”

Ma se il Sottosegretario vuole veramente rassicurare i genitori, e non illuderli non si limiti alle dichiarazioni di intenti e dai social, ma provveda a far emettere garanzie ufficiali, ed intervenga laddove le sue stesse dichiarazioni vengono platealmente e impunemente smentite dagli stessi dirigenti degli Uffici Scolastici Regionali come ad esempio il dott. Biasol che nel Friuli Venezia Giulia s’è espresso per l’obbligatorietà di questi corsi con l’argomento che qualsiasi attività in PTOF prevista al mattino diventa obbligatoria.

A fronte di tutto questo oggi occorre più che mai rilanciare il valore della libertà di educazione, per il bene della democrazia e della società.

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