“Disintermediazione della conoscenza”: una espressione difficile, una realtà sfidante da affrontare

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Il sole 24 ore, con un interessante articolo che riprendiamo (link), accende i riflettori sul tema della “disintermediazione della conoscenza”. E’ sotto gli occhi di tutti, ma forse dobbiamo realizzarlo e mettere a fuoco meglio, che l’accesso tramite dispositivo mobile personale al mondo di internet dall’età di 11 anni (questo recitano le statistiche sul momento in cui noi genitori regaliamo lo smartphone ai nostri figli) rischia di tagliare fuori noi stessi genitori – e gli educatori che incarichiamo per nostro conto della formazione dei ragazzi – dai processi classici dell’educazione: va detto che, a partire dall’età dell’adolescenza non ci risulta che i genitori siano mai stati in tempi recenti i primi “influencer” dei figli, ma l’impressione è che la virtualizzazione delle relazioni rischi oggi di farci sfuggire ancor di più tutto di mano.

L’inganno contemporaneo della conoscenza disintermediata
Da Il sole 24 ore – di Vittorio Pelligra

La cultura, la sua trasmissione, è ancora, fondamentalmente, una questione di relazioni. L’inganno dell’accesso disintermediato all’informazione e al sapere è un inganno. L’intermediazione, il rapporto con chi ha potuto fare esperienza, accumulare conoscenze, metterle alla prova rimane ancora una spinta evolutiva potente, sia individuale che collettiva. […]

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Siamo una “specie culturale” soggetta ad una interessantissima forma di coevoluzione nella quale la genetica influenza la cultura e, viceversa, la cultura, modificando l’ambiente, influenza la nostra storia genetica. Circa due milioni di anni fa, probabilmente, l’evoluzione culturale cominciò ad essere la principale spinta alla nostra evoluzione genetica. La capacità di apprendere e di trasmettere un corpo di conoscenze che si acquisiscono in maniera cumulativa e vanno a costituire la cultura dei popoli, è ciò che ci ha resi la specie di maggior successo in questo piccolo pianeta. Ma, come la storia della manioca ci spiega bene, affinché questo successo si possa realizzare attraverso la trasmissione culturale, occorre essere disposti ad apprendere, occorre che alcune specifiche condizioni siano rispettate.

Guardando alle società tradizionali, scopriamo tratti comuni che mettono in evidenza i meccanismi necessari alla trasmissione intergenerazionale della conoscenza. Affinché la trasmissione di codici culturali e comportamenti acquisiti produca risultati favorevoli per chi li adotta è necessario capire bene chi imitare. Quando i problemi sono complessi, l’incertezza è grande e la posta in gioco è elevata, le persone tendono ad assumere atteggiamenti conformisti, cioè tendono ad imitare gli altri, ma non tutti gli altri. In genere i giovani si focalizzano sugli anziani ritenuti i più saggi, su coloro che in un certo gruppo hanno guadagnato prestigio in virtù della loro eccellenza in qualche ambito, e modelli che hanno ottenuto successi ragguardevoli proprio perché hanno applicato quegli stessi principi che tramandano.

Siamo in qualche modo programmati a far ciò. I neuroscienziati dello sviluppo ci spiegano come, ancora molto piccoli, siamo capaci di complesse attività di “social referencing”, di orientarci, cioè, nella nostra comunità alla ricerca dei modelli da cui imparare, di modelli da imitare. Questi modelli, dal canto loro, gli esempi di prestigio e saggezza che in genere scegliamo di imitare, hanno, nelle varie popolazioni e culture, tutti, qualità simili: sono generosi nel condividere il loro sapere, sono gentili nel trasmetterlo e pazienti; queste qualità non fanno altro che aumentare il loro prestigio e la stima che gli altri membri della comunità hanno di loro e quindi la loro “imitabilità”.

Nonostante i nostri computer, internet, i viaggi spaziali e le conquiste scientifiche, il nostro cervello, nelle ultime centinaia di migliaia di anni, non è cambiato poi molto e così il nostro bisogno degli altri, la nostra vulnerabilità e la dipendenza da un sapere che è costitutivamente comunitario e sociale. L’evoluzione, anche quella culturale, agisce, infatti, su altre scale temporali. Questo vuol dire che abbiamo, ancora oggi, bisogno di saggi gentili, di modelli cui riconoscere prestigio in cambio di conoscenze antiche e moderne.

La cultura, la sua trasmissione, è ancora, fondamentalmente, una questione di relazioni. L’inganno dell’accesso disintermediato all’informazione e al sapere si è rivelato per quello che è, appunto, un inganno. L’intermediazione, il rapporto con gli altri, soprattutto con chi ha potuto fare esperienza, accumulare conoscenze, metterle alla prova con successo e, così, allargare lo sguardo, rimane ancora oggi una spinta evolutiva potente, sia individuale che collettiva. Ma dove sono oggi questi saggi gentili? Qual è diventata oggi la metrica del successo con cui scegliamo gli “imitabili”? Che posto riserviamo loro nelle nostre comunità? Forse solo i margini, le periferie dell’Impero.

Ne è, probabilmente, un indizio il prestigio che socialmente attribuiamo agli insegnanti di ogni ordine e grado: praticamente nullo; così come il rapporto disfunzionale che, sempre più frequentemente, si instaura tra scuola e famiglia; per non dire della pretesa di una conoscenza autoprodotta e mal compresa, unita all’arroganza di chi si sente sempre all’altezza di ogni situazione. Sono tratti di un decadimento ormai iniziato, del sovvertimento di logiche evolutive antiche e necessarie, capaci, spesso, di farci, collettivamente, migliori di quanto, potremmo essere individualmente. Dovremmo spingerci, allora, verso quei margini e quelle periferie, come novelli Diogene, alla luce fioca della lanterna, alla ricerca di questi saggi gentili, di cui forse proprio oggi, abbiamo ancor più bisogno; per scovarli e convincerli a ritornare al centro delle nostre piazze, a riprendere la loro opera fondamentale di trasmissione, al tempo stesso fedele e creativa, della saggezza profonda della nostra specie: per imparare ad essere, sempre più, non solo “homo”, ma soprattutto “sapiens”.

Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Le evidenze in neretto sono state inserite da noi.

 

 

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