FA’AFAFINE – il “terzo sesso” a teatro per le scuole

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“Alex ha sempre le idee chiare su ciò che vuole essere: i giorni pari è maschio e i giorni dispari è femmina, dice. Ma oggi è diverso: è innamorato, per la prima volta, e sente che tutto questo non basta più. Oggi vorrebbe essere tutto insieme, come l’unicorno, l’ornitorinco, o i dinosauri”.
Avete letto bene, non vi siete sbagliati: i giorni pari è maschio e i giorni dispari è femmina.
E’ un passaggio della presentazione di uno spettacolo teatrale vincitore di un premio infanzia (link) andato in scena a Palermo le scorse settimane ed in questi giorni a Torino con tanto di partnership e sostegno istituzionale del Comune, della Regione, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di altre autorevoli fondazioni ed enti istituzionali (dal sito casateatroragazzi link spettacoli e partners), prossimamente in tournee in altre città d’Italia.

Parliamo di FA’AFAFINE – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro (link youtube)

Pubblico destinatario? Scuola secondaria di primo grado
Fascia d’età consigliata? 8-16 anni
Sempre nella presentazione dello spettacolo, è specificato che Fa’afafine è un termine “che, nella lingua Samoa, definisce coloro che sin da bambini non amano identificarsi in un sesso o nell’altro […] un vero e proprio terzo sesso cui la società non impone una scelta, e che gode di considerazione e rispetto”.
Eppure per quello che abbiamo potuto trovare in merito alla traduzione del termine samoano, vale la pena dire che questa identità “mista” si è diffusa in questa parte del mondo guarda caso all’inizio del XX secolo (link wikipedia). Nulla di ancestrale, quindi, come facilmente si potrebbe intendere sentendo parlare di remote e paradisiache isole polinesiane in cui tutti vivono da sempre felici e contenti.

Quali quindi le  finalità di questo spettacolo a parte cavalcare l’onda, fare botteghino e rovesciare in modo inquietante i ruoli? Per contrastare il bullismo o le violenze, lo abbiamo scritto altre volte (link), niente autorizza a imporre messaggi confusivi sull’orientamento sessuale a soggetti che si trovano proprio nella delicatissima fase dello sviluppo della loro identità sessuata, maschile e femminile. L’assunto secondo cui promuovere l’autodeterminazione nell’orientamento sessuale concorrerebbe a contrastare le discriminazioni non ha alcun fondamento scientifico.

Risultato: bambini e preadolescenti ben indottrinati e psicologicamente confusi, portati per mano dalle insegnanti e da quella istituzione che dovrebbe rappresentare un luogo sicuro per la loro crescita: la scuola. Con buona pace dei genitori e del loro diritto di priorità educativa, sancito in primo luogo, dall’Art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Ecco cosa è il “gender” laddove come categoria è utilizzato per giustificare un’idea della sessualità intesa come variabile dipendente dalle scelte soggettive, dalle inclinazioni personali, dalla volontà del soggetto (Binetti, 2009): dal “decostruire” i cosiddetti stereotipi sui “ruoli di genere” per combattere la discriminazioni della donna partendo dai bambini (il bambino “macho” e la bimba frivola), si passa sempre più diffusamente e a mettere subdolamente in discussione tutta l’identità sessuata maschile e femminile ed a promuovere il terzo sesso o il sesso neutro. E il passo è breve. Troppo pare.

Non ci sono garanzie che agire in tal senso sull’identità dei bambini e dei ragazzi non metta a rischio un equilibrato sviluppo psicofisico. Interessante notare che neanche esista un’emergenza tale da motivare tanti e tanto radicali interventi focalizzati esclusivamente su questa specifica tematica educativa. Come dimostrano infatti i dati sui crimini d’odio appena pubblicati dall’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea), su 596 casi registrati durante il 2014 in Italia, quelli contro persone LGBT sarebbero 27 rispetto ai 413 dovuti a crimini xenofobici, ai 153 contro i cristiani e membri di altre religioni e 3 contro le persone disabili (http://hatecrime.osce.org/italy). Senza contare che gli “hate crimes” comprendono per la maggior parte delle denunce insulti verbali. Allora, seppure un solo caso di discriminazione è da ritenersi intollerabile ed odioso, è chiaro che non vi è alcun motivo per cui la scuola ammetta su questi temi complessi e delicati, indebite e pericolose strumentalizzazioni ideologiche.

La scuola pubblica non può farsi complice di rischiose sperimentazioni: sia per ignoranza, sia per ideologia, la colpa resterebbe. Anche per una semplice uscita a teatro.

Oggi più che mai i docenti devono impegnarsi per formarsi in maniera critica in opposizione alle attuali mode culturali così pervasive e pressanti e continuare ad educare all’inclusione senza ammettere indottrinamenti di qualsiasi segno.

Non siamo d’altronde gli unici ad avanzare qualche dubbio su questo spettacolo se anche AGAPO (Associazioni Genitori e Amici di Persone Omosessuali) ha ritenuto “doveroso”, in una lettera aperta agli organizzatori ed ai promotori di Fa’afafine, “porre alcune domande in merito alla fondatezza dei messaggi trasmessi e alla coerenza dei modelli culturali promossi attraverso la performance” (pdf)

Ci teniamo comunque a rassicurare il regista che non abbiamo nessun dubbio sul valore artistico della rappresentazione, sulla sincerità dei sentimenti e sui toni di certo non offensivi anzi commoventi che si è voluto portare in scena, non sta qui la questione. Il problema è che non possiamo inappellabilmente sottomettere i sentimenti alla ragione, perché spesso proprio laddove non arriva la ragione subentrano i sentimenti. Non serve richiamare in modo vittimistico la “censura preventiva” ed il “pregiudizio” scomodando peraltro impropriamente il medioevo: oggi piuttosto, dati alla mano, ci sembra che nei confronti del mondo e delle tematiche LGBT non vi sia affatto una censura, anzi. Il nostro e quello di chi come e prima di noi ha espresso preoccupazione su questa rappresentazione – senza magari avere avuto la possibilità di argomentare in modo articolato e completo – si chiama diritto di critica, altro che censura. E le parole dello stesso regista – lui sì, intervistato dalle agenzie di stampa – ce ne danno ragione visto che descrive Alex come un ragazzo di “genere non conforme”, definizione che annienta in un attimo il dato di realtà che ci fa nascere tutti maschi e femmine (link).

Altroché quindi se è opportuno che i genitori siano informati sui temi trattati dallo spettacolo perché, dato l’argomento delicato e la fascia di età, essi hanno il diritto di dialogare puntualmente con i figli, sia prima che dopo la rappresentazione, qualora decidano di farli assistere.

Certo i genitori da oggi dovranno anche vagliare i cartelloni dei teatri per scuole. Come genitori abbiamo il diritto di pretendere che la scuola richieda il consenso informato preventivo per tutte le attività extracurricolari (tra cui è più che lecito includere anche le uscite didattiche) come stabilito dalla C.M. 4321 del 6 Luglio 2015. In concreto, quando ci viene richiesto di firmare l’autorizzazione ad un’uscita, sarà opportuno non farlo alla cieca, ma – nei casi in cui si trattino temi sensibili – chiedere di conoscere quali siano i contenuti delle iniziative proposte. Ogni volta che si coinvolgono nell’insegnamento i valori educativi, non possono che essere condivisi con i genitori titolari della “responsabilità in educando” (art. 2048, primo comma, codice civile) Va ribadito inoltre che  un progetto extracurriculare resta tale anche se in orario di lezione obbligatorio. La procedura del consenso è recente, molte scuole non sanno; per questo occorre che i genitori, essendo i primi interessati, lo facciano conoscere e lo richiedano, individuando i modi e le forme più opportune, sempre comunque nella consapevolezza che si tratta di uno strumento per difendere il loro diritto di essere informati e non il loro dovere di informarsi. La fiducia che le famiglie continuano a riporre nella scuola non va tradita. E le famiglie devono poter continuare a potersi fidare della scuola Il prezzo da pagare di un’incrinatura dell’alleanza tra le due primarie agenzie educative sarebbe troppo alto, e lo pagherebbero in primis i nostri figli.

Ciononostante, cari genitori, dobbiamo riprendere in mano la nostra primaria responsabilità educativa partendo proprio da qui.

Imparare a fare formazione emotiva ed affettiva, valorizzando la differenza sessuale e il sesso toccato per natura, in un corretto rapporto con la cultura, è diventato uno degli obiettivi più urgenti che dobbiamo affrontare senza per questo essere accusati di omofobia o riduzionismo biologico. Ai nostri figli dobbiamo dare un’educazione su questi temi rafforzando le rispettive tendenze alla femminilità-mascolinità come prerequisito per poter parlare un domani di paternità e maternità.

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