Genitori in rete e associazionismo: un valore aggiunto per la difesa della libertà educativa

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In un asilo di Roma ancora una volta scavalcati i diritti dei genitori

genitori_scuola“Il gender a scuola non esiste, si tratta solo di inutile allarmismo, di fondamentalismo becero». Capita ancora di sentire frasi come queste e a lungo capiterà ancora forse, mentre continuano ad aumentare da nord a sud gli episodi di introduzione del gender nelle scuole. La nostra, come altre associazioni, riceve continue segnalazioni, non tutte escono sui giornali, non sempre i genitori riescono ad esporsi. L’ultimo caso arriva da un asilo nido della Capitale nel quartiere Settecamini ed è davvero emblematico delle modalità con cui questa ideologia si introduca nella scuola, scavalchi il primato dei genitori, metta seriamente a rischio il patto educativo tra scuola e famiglia e, soprattutto, danneggi i bambini. La dinamica la conosciamo bene ormai: il comune di Roma propone un corso alle educatrici sull’accoglienza dei bambini di coppie omogenitoriali come quello svoltosi nel Municipio II, in collaborazione con il professor Baiocco dell’Università La Sapienza o quelli affidati dal Comune all’Associazione SCOSSE, che mostrano evidenti criticità per l’approccio non scientifico al tema. Ci chiediamo infatti perché per accogliere – come è doveroso – questi bambini, dovremmo confondere tutti i bambini sulla loro identità sessuale e sui loro riferimenti primari quali sono la mamma e il papà. E quali sono i fondamenti pedagogici per cui poi a tutti gli effetti si attuerebbe una discriminazione al contrario, con la scusa della lotta alle discriminazioni. E me lo chiedo da insegnante che ha sempre educato all’accoglienza di tutti, senza dover ammettere ideologie nella scuola pubblica. Come conseguenza del corso le educatrici introducono nei nidi fiabe gay, spessissimo senza che i genitori siano adeguatamente informati. In questo caso il libro è il famoso Piccolo Uovo, proposto dalle educatrici a una mamma, affinchè lo acquisti per una raccolta di letture da svolgere a scuola con tutta la classe – bambini tra i 18 e i 24 mesi – e da portare a piacere a casa. Ma la mamma si informa, non è d’accordo che si legga a suo figlio e si rifiuta di acquistarlo. Altri genitori vengono a conoscenza della questione e manifestano il proprio disappunto alla scuola e alla cooperativa cui la struttura fa capo. Troppi gli aspetti spiacevoli di questa vicenda, che ci hanno raccontato con sincera sofferenza le famiglie. La lista dei libri non era stata resa nota: le educatrici hanno indotto la signora a pensare che tutti i genitori condividessero la scelta di “Piccolo uovo”, mentre nessuno ne era al corrente; la mamma in questione ha ricevuto solo una promessa verbale che al figlio sarebbero state proposte attività alternative alla lettura del libro: niente di scritto e, soprattutto, nessuna assicurazione che i bambini non avrebbero letto il libro da soli. Dopo il rifiuto della mamma il nido ha deciso di acquistare il libro come corredo didattico della scuola: come a dire che un libro che parla di omosessualità e fecondazione artificiale a bambini che portano ancora il pannolino, ha lo stesso impatto di una sedia o di un peluche. E così il testo diventa di fatto obbligatorio e non più facoltativo e qualunque nuovo alunno lo troverà senza che le famiglie ne siano informate. I genitori hanno poi visto respinte le richieste di riunirsi con tutti gli altri per discutere insieme della scelta, così come della proposta di acquistare libri di alternativi, nonché di svolgere il progetto di lettura facendo a meno di quel libro. Intanto nelle riunioni con le insegnanti e con i responsabili della cooperativa i genitori hanno chiesto semplicemente che i propri figli non abbiano alcun contatto con il libro, ribadendo il proprio diritto di scelta su questioni educative così delicate. La cooperativa ha però rifiutato ancora di dare garanzie scritte che il libro non venga sfogliato autonomamente dai bambini le cui famiglie non vogliano. Nel frattempo i genitori coinvolti vengono messi sempre più all’angolo e contro di loro inizia addirittura una campagna denigratoria sui social da parte di altri genitori, con tanto di richiesta di raccolta firme. Conseguenza del pensiero unico che avanza, per cui, chi dissente da un modello educativo o familiare viene fatto passare per oscurantista e discriminante. Un clima difficile per queste famiglie, che in passato si erano sempre trovate benissimo nella scuola, sia con educatrici che con gli altri genitori. L’episodio ha persino indotto una famiglia a ritirare il figlio dalla struttura, una scelta davvero grave e sofferta.

Genitori in rete e associazionismo: un valore aggiunto per la difesa della libertà educativa

Ecco cosa ha spinto le famiglie a rivolgersi alla nostra associazione. Lo scavalcamento della loro responsabilità educativa e la perdita della fiducia nei confronti di chi ogni giorno si deve prendere cura dei propri figli. Vogliamo chiarire che i genitori non hanno posto alcun veto sulle scelte degli altri. Hanno chiesto alla nostra associazione di rappresentare le loro istanze presso la scuola ed in seguito, non avendo ricevuto risposte, anche agli uffici competenti del municipio e del comune, secondo una corretta partecipazione democratica dei cittadini. Si tratta di istanze che si limitano al piano dei propri diritti. La loro richiesta? Non essere discriminati per le proprie scelte educative. Semplicemente avere una formale garanzia dell’esonero da qualunque attività che coinvolga il libro in questione come materiale didattico per i propri figli, lasciando a tutti gli altri la libera scelta. Per il futuro: la possibilità di consenso informato preventivo sulle tematiche educative sensibili come l’educazione affettiva. Richieste che tutti riconoscerebbero più che lecite. Ma in questa vicenda ci sono anche molti aspetti positivi. Vedere che sempre più genitori, anche di diversa estrazione culturale, si stanno sensibilizzando alla problematica gender, si informano, si mettono in rete, vogliono sostenere efficacemente le proprie scelte educative, cercando un rapporto di corresponsabilità con la scuola, oggi ci appare come uno degli argini più potenti all’irrompere di questa ideologia nella scuola. Qualche crepa si intravede nel “moloch” del pensiero unico dominante. È fondamentale però che i genitori, sia nelle scuole che nelle città, siano in rete con gli altri. Un genitore solo è un soggetto debole; più genitori in rete possono rappresentate una forza e una risorsa. E di fronte al frequente verificarsi di questi episodi è sempre più attiva infatti una rete di associazioni che in questi mesi sta venendo in aiuto di quei genitori che vogliono veder rispettati i propri diritti e quelli dei propri figli. Oggi più che mai i genitori vanno sostenuti e formati, affinché conoscano gli strumenti che hanno a disposizione per affermare la propria libertà educativa. Le associazioni dei genitori possono farsi carico delle istanze dei singoli e farle presenti più efficacemente alla scuola e alle Istituzioni. Per questo è necessario risvegliare l’associazionismo dei genitori, collaborare tra associazioni vecchie e nuove e soprattutto investire in progetti di formazione a lungo termine, rivolti sia a genitori che a docenti, per fare il bene delle famiglie come della scuola stessa. Stanno nascendo comitati “Articolo 26” in diverse città d’ Italia e la nostra associazione è in rete con altre che fanno capo alla sezione scuola del Comitato Difendiamo i Nostri Figli. Esso ha recentemente istituito un “Osservatorio nazionale”, proprio per raccogliere le continue segnalazioni di introduzione del gender sui banchi di scuola. L’insieme di queste associazioni permette di raccogliere segnalazioni da tutto il territorio nazionale: l’osservatorio si impegna a segnalare al Ministero dell’Istruzione i casi in cui è forte il rischio di ingresso dell’ideologia gender nella scuola che – come ha ribadito con la circolare del 15 Settembre scorso non deve «promuovere pensieri o azioni ispirati ad ideologie di qualsivoglia natura» e contemporaneamente quei casi in cui non vengono pienamente rispettati i diritti dei genitori. È fondamentale infatti per un corretto rapporto scuola famiglia che tutte le attività che vertono su temi educativi sensibili il cui primato spetta ai genitori, siano riconosciute come extracurriculari e quindi facoltative, anche se si svolgono in orario scolastico. La scuola deve quindi prevedere la richiesta del consenso informato da parte delle famiglie con la conseguente possibilità di esonerare l’alunno dall’attività. Questo vale ancora di più per la fascia 0-3 anni che, non rientrando nella scuola dell’obbligo, non è normata dalle indicazioni nazionali ed è, per così dire, totalmente extracurricolare. La questione gender, è bene ribadirlo, ci richiama in senso lato a una rinnovata responsabilità educativa: per questo servono genitori informati e ben organizzati, genitori competenti, a casa come a scuola. Coinvolge il tema della libertà educativa e dei diritti dei genitori e il tema della scienza, che deve ammonire la scuola sull’ideologia che la minaccia.

Breve analisi critica sul libretto “Piccolo uovo”

Una delle argomentazioni di chi difende libri come Piccolo uovo è che essi non abbiano nulla a che fare la teoria gender e che quindi non ci sarebbe alcun pericolo legato alla loro diffusione. La pensa diversamente il dottor Paolo Scapellato – psicologo e psicoterapeuta, docente a contratto di Psicologia Clinica all’Università Europea di Roma – che afferma: “il libro fa parte di quel tipo di letteratura definita di genere (o gender), in quanto afferma il primato della cultura sulla natura, non riconoscendo anzi quest’ultima come fondamento della vita”. Il bambino viene così usato come un mero “strumento di cambiamento culturale determinato da una parte degli adulti. Asserendo che la famiglia tradizionale sia frutto di dinamiche puramente culturali, si fornisce un’altra concezione puramente culturale” introducendo il bambino “in un modo di leggere il proprio mondo assolutamente relativista”.
“A livello educativo,” continua Scapellato, “è importante che il bambino colga la sua natura e la natura del mondo in cui vive: papà e mamma insieme possono generare un bambino, il quale avrà bisogno di cure e affetto per poter crescere in maniera sana”, mentre in libri come quello di Francesca Pardi, “ampliando il concetto a tutte le unioni possibili si perde l’importanza delle figure genitoriali. I concetti di padre e madre rimangono vuoti, legati esclusivamente all’esser maschio o femmina. Si perde il concetto di paternità, di maternità, di differenze sessuali”.
Nel libro per di più viene presentata al bambino una realtà alla rovescia, sottolinea lo psicoterapeuta: “affermare che ogni tipo di unione è famiglia e quindi tutte le famiglie hanno diritto ad avere figli è un’inversione logica delle cose: dal fatto che due persone, maschio e femmina, si uniscono e generano un figlio, allora la società li riconosce ufficialmente come famiglia responsabile della crescita di quel nuovo cittadino, si passa al riconoscimento della famiglia e quindi al diritto di avere un bambino”. Piccolo uovo viene proposto a bambini dai 2 ai 4 anni che non hanno “capacità riflessive per cogliere tali sottigliezze e prendere quindi una posizione critica. Insegnargli quindi un concetto esclusivamente artificiale, allontanandolo dalla comprensione della natura di cui fa parte, assomiglia molto a un atto di plagio”, afferma Scapellato, che conclude: “dato che tutta la psicologia dello sviluppo si basa sull’individuazione delle fasi universali della crescita umana (sviluppo affettivo, cognitivo, sociale e morale), appare ingiustificato qualsiasi azione educativa basata su un relativismo assoluto”.

 

I testi qui riportati sono tratti da due articoli usciti sulla Nuova Bussola Quotidiana e sul quotidiano La croce

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