Ognuno a modo suo

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Come scrive Alessandro D’Avenia nel suo Ultimo Banco 62. “Avere un’anima”,

prima di realizzarsi occorre essere reali cioè imparare l’arte di vivere a prescindere dai risultati”.

Oggi come oggi invece tutto si misura, tutto si quantifica, persino l’essere genitore! I figli diventano inconsapevolmente armi di subdoli duelli: “mio figlio ha tutti 10!”, oppure “ancora non cammina? Il mio ha cominciato a 11 mesi”, o ancora “mia figlia si allena con le agoniste tutti i pomeriggi… non ha tempo da perdere al parco”.

L’orgoglio per i figli è un sentimento sano che dobbiamo ricordarci di esprimere a loro, non su di loro.

Se ci prendiamo qualche minuto potremmo fare ciascuno per sé un piccolo ‘esame di coscienza’: quand’è stata l’ultima volta che abbiamo comunicato esplicitamente ai nostri figli il nostro orgoglio di genitori? Non solo per i risultati ottenuti, ma come riconoscimento della loro persona, della loro identità. Non hanno chiesto loro di essere messi al mondo. È una responsabilità che ci siamo presi al posto loro e troppo spesso rischiamo di ‘pretendere’ da loro una maturità del vivere che noi per primi non abbiamo.

Lo dice bene Elisa nella sua canzone “A modo tuo”:

“Sarà difficile diventar grande
prima che lo diventi anche tu
tu che farai tutte quelle domande
io fingerò di saperne di più.”

La buona notizia è che genitori si diventa. Con pazienza e tanti errori…crescono i figli ma cresciamo anche noi genitori!

Ci sono dei momenti di crisi, di ‘stallo’, dove niente sembra funzionare e niente sembra cambiare, in cui sentiamo che ci manca una chiave per aprire quella situazione ad una nuova soluzione.

“A modo tuo
andrai
a modo tuo
camminerai e cadrai, ti alzerai
sempre a modo tuo
A modo tuo
vedrai
a modo tuo
dondolerai, salterai, cambierai
sempre a modo tuo”

La mania del controllo… la paura del ‘lasciar andare’ sono nemici invisibili ma molto potenti. I nostri figli non sono nostri, sono i “figli della Vita” (cit. Khalil Gibran): non sono delle nostre miniature e non possiamo pretendere che facciano quello che gli diciamo nel modo che vogliamo. La Vita non si può pretendere.

Scrive ancora D’Avenia:

Quel ‘vivere dentro’ non ci può essere tolto, perché vivere è imparare ad essere soli, che non significa isolati (da isola) ma pieni (‘solo’ viene da una radice che indica totalità, integrità, completezza), cioè ‘avere un anima’”.

Il ruolo del genitore non è forse accompagnare il bambino alla conquista della propria ‘solitudine’? 

Conquistando di giorno in giorno la propria autonomia, alla scoperta della propria identità.

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