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    Sulla scuola, la famiglia e l’insegnante picchiato

    0
    By Articolo 26 on 28 Febbraio 2018 Educazione

    In linea con lo spirito della nostra associazione, che vede insieme genitori e docenti nella sfida di educare, vogliamo tentare una lettura dei recenti fatti di violenza nei confronti di alcuni docenti nella scuola, che metta essa stessa insieme scuola e famiglia, nella ricerca condivisa di una soluzione congiunta, in cui si condividano non solo strumenti di lettura, ma anche responsabilità.

    E’ colpa dei genitori che non sanno più correggere i propri figli? E’ colpa degli insegnanti che non sono più autorevoli?

    Reciproci e sterili scambi di accuse non solo non rendono una comprensione adeguata della questione e non gioverebbero a nessuno, ma andrebbero altresì ad ampliare una frattura a cui è sempre più urgente rimediare con un approccio integrato al problema e soprattutto prendendo la sfida in positivo.

    Ospitiamo quindi di seguito un contributo per una analisi del problema a 360°e offrire spunti utili alla riflessione alla ricerca del punto di incontro di cui parlava Gianni Rodari:
    “Il punto cruciale è quello dell’incontro di base tra genitori e insegnanti, forma concreta dell’incontro tra scuola e società. Se questo incontro fallisce, la struttura non vive”

    Ho letto su Avvenire del 15 febbraio 2018, pag. 3 l’articolo dal titolo “Non si rovesci il rapporto” (link)

    Con sorpresa ho riscontrato affermazioni preoccupanti in ordine a quello che dovrebbe essere il rapporto tra famiglia e scuola. Mentre i comportamenti scorretti e violenti, che si ripetono con troppa frequenza, sono da condannare decisamente da parte di tutti, non sono sempre condivisibili le teorie  che vorrebbero indicarne le cause, che stanno a monte di questi fenomeni inaccettabili.

    Prendendo spunto dai fatti di Foggia, dove un padre ha picchiato un insegnante, teorizza che  “la famiglia che dà i suoi figli ad una scuola glieli dà perché faccia sui figli ciò che lei non può fare, non è in grado, non ha la cultura,  … insegnare un’altra cultura, vuol dire un’altra morale”. Secondo questa visione, pare che  il rapporto si dovrebbe concretizzare in  una delega acritica  nei riguardi degli insegnanti da parte delle famiglie, poste in posizione di inferiorità e di soggezione. “La scuola, secondo l’autore,  ha il compito “rendere i figli migliori dei genitori”, visti come soggetti retrogradi, incapaci, superati dalla storia e dalle ultime conquiste della scienza.

    Paradossalmente nello stesso giorno a p.9 si riporta la dichiarazione del Sindacato Gilda che, a proposito dei fatti di Piacenza dove l’insegnante è stata picchiata da un alunno di scuola media, chiede che siano “i genitori a rispondere delle azioni dei figli … i genitori rispondano verso terzi dei danni prodotti dai loro figli”.

    In ogni caso si tende a riversare le colpe sui genitori:  sia perché non delegano  ciecamente alla scuola il compito educativo, sia perché non svolgono in modo efficace il proprio diritto – dovere di educare i figli. Come si po’ ad un tempo ritenere il genitori responsabile del comportamento del figlio a scuola, se questa rivendica la funzione di  “discutere, approvare o correggere quanto avviene a casa”?
    E’ curioso osservare come queste accuse contraddittorie abbiano origine dalla medesima visione della scuola, concepita come istituzione, posta al di sopra delle famiglie, che deve “correggere le barbarie di casa con la civiltà della scuola (!)” e “rappresentare l’autorità dello Stato, per cui i docenti sono pubblici ufficiali”.

    In questa impostazione sembra che persistano residui di una  “schola instrumentum regni”, oppure di istituzione ideologica deputata a condizionare le coscienze delle giovani generazioni. Vi è ancora poco spazio per una scuola interpretata come servizio alla persona, “comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale dove sono garantite la libertà di insegnamento dei docenti, la libertà di scelta delle famiglie nel rispetto del diritto all’apprendimento degli allievi (art 21, 9 della legge 50 del 1997). L’esperienza quarantennale degli organi collegiali non sembra aver costruito una scuola ispirata ai principi della democrazia, dove le decisioni si prendono nel dialogo e con il consenso di tutte le componenti. Invece di tendere al condizionamento culturale si dovrebbe perseguire la promozione delle persone nella libertà e nella solidarietà. La costrizione e la delega  dovrebbero essere sostituite dalla partecipazione di tutti, nel rispetto reciproco, attraverso il confronto, che porti all’accordo e alla convinzione reciproca.

    Questa è la scuola delineata dalla Costituzione e da gran parte delle normative, e che costituirebbe la  più autentica prevenzione dei gravi comportamenti a cui assistiamo con sempre maggior frequenza.

    Se questi cambiamenti nel costume scolastico risultano insoddisfacenti, lo si deve anche  al fatto che  queste idealità si sono dimostrate irraggiungibili, e vengono enunciate con troppa facilità senza declinarle nel concreto, con maggior il realismo e attenzione alla quotidianità. Infatti la democrazia scolastica non coincide con la demagogia, ma  esige regole stringenti e procedure ineludibili. Immaginare che un istituto con mille studenti e duemila genitori riesca a far partecipare tutti allo stesso modo e con la medesima disponibilità di tempo e di competenze risulta utopistico e alla fine  impossibile. Impossibile come lo sarebbe in ogni comunità civile che pretendesse di governarsi  in “assemblea permanente” senza elezioni, consigli e responsabili.  Negli istituti scolastici, in verità,  si prevedono elezioni e consigli, e sono pure definiti i ruoli e le responsabilità, ma mentre sono rispettati per gli insegnanti, non lo sono altrettanto per i genitori e gli studenti. Mentre al singolo docente è salvaguardata la libertà di insegnamento,  ma le decisioni collettive sono delegate alle rappresentanze sindacali e agli organi collegiali, nei riguardi del singolo genitore si tende a trascurarne il “diritto ad educare il proprio figlio”,  e si dà,  pure, scarso rilievo alle proposte delle associazioni genitori e dei loro rappresentanti nei consigli,  quando si prendono decisioni riguardanti la comunità scolastica. In questo modo studenti e genitori faticano a sentirsi parte dell’istituzione e responsabilizzati  verso le scelte educative della scuola.

    Purtroppo i gravi fatti che si ripetono e i continui ricorsi alla magistratura che si moltiplicano  confermano la conclusione dell’autore: “le due istituzioni si trovano a contatto e non si accettano”.

    La sfida che ci troviamo ad affrontare è quella di come ricucire un rapporto strappato, cominciando a rivedere e correggere i pregiudizi contraddittori, ma continuamente ripetuti, che allagano sempre più la divisione tra famiglia e scuola.

    Un giornale come Avvenire può fare molto per costruire un’efficace “alleanza tra famiglia e scuola”  I genitori in questa fase sono colpevolizzati con troppa facilità, mentre andrebbero sostenuti con opportuni approfondimenti e confronti che portino ad un dialogo franco e una collaborazione fattiva tra tutte le componenti della scuola.

    22 febbraio 2018

    Giuseppe  Richiedei

    Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

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