TodiEdu 2025 – Educare con cuore e mente. Puntare in alto per lasciarci sorprendere
Il 13 settembre 2025 abbiamo vissuto, nella splendida cornice della Sala Consiliare del Comune di Todi, l’ottava edizione del nostro convegno nazionale. Un appuntamento che, anno dopo anno, è diventato una tradizione attesa e amata: un momento di incontro, confronto e formazione per famiglie, insegnanti, educatori e professionisti che condividono la stessa passione per l’educazione.
Il titolo scelto per questa edizione, “Educare con cuore e mente. Puntare in alto per lasciarci sorprendere”, raccontava già molto. Volevamo ribadire la necessità di unire competenza e passione, ragione e sensibilità, visione e concretezza. Perché quando parliamo dei nostri figli, non possiamo accontentarci della mediocrità. Dobbiamo sempre puntare a qualcosa di più, anche a costo di lasciarci sorprendere da percorsi inaspettati.
Sin dal mattino, entrando nella sala consiliare, si respirava un’atmosfera vivace e calorosa: volti conosciuti che si ritrovavano, genitori arrivati da tutta Italia, relatori pronti a condividere esperienze e riflessioni. C’era la sensazione di partecipare a qualcosa di più grande, di appartenere a una comunità che non si rassegna a vivere passivamente i cambiamenti del nostro tempo.
I saluti istituzionali e l’apertura
A dare il benvenuto è stata l’Assessore alle Politiche Scolastiche del Comune di Todi, Alessia Marta, che con parole appassionate ha ricordato quanto la città sia orgogliosa di ospitare ogni anno questo appuntamento. «Sono ormai otto anni che ci ritroviamo qui» ha detto, «e credo che questo convegno abbia un valore speciale: crea un ponte tra le due agenzie educative più importanti, la scuola e la famiglia».
Nel suo intervento ha sottolineato come la scuola rischi oggi di diventare un contenitore senza contenuti, un luogo dove tutto sembra avere lo stesso valore e quindi, di fatto, nulla ha più valore. «Credo che sia arrivato il momento di ripristinare insieme delle priorità» ha aggiunto, «e senza una vera collaborazione tra genitori e insegnanti il sistema non può funzionare».
Dopo di lei, il nostro vicepresidente Marco Cortellessa ha introdotto i lavori della giornata ricordando la missione di Articolo 26: difendere e promuovere la libertà educativa dei genitori. «Siamo un’associazione nazionale di genitori» ha spiegato, «che da undici anni lavora per condividere buone pratiche e creare una rete che renda i genitori protagonisti e consapevoli».
Carlo Stacchiola: la società liquida e l’uomo liquido
La prima relazione è stata affidata al nostro presidente, Carlo Stacchiola, che ha scelto un titolo provocatorio: “La società liquida genera l’uomo liquido?”. Carlo ha ricordato l’immagine di Zygmunt Bauman, che definiva la nostra società come liquida, senza punti di ancoraggio solidi, e ci ha chiesto di interrogarci: se la società è liquida, anche il pensiero, la cultura, l’identità e perfino l’amore diventano liquidi?
«È come se non avessimo più strutture solide a cui fare riferimento» ha detto. «E la liquidità non riguarda solo la società: pensiero, cultura, semantica, perfino la grammatica diventano liquidi. Avete notato la comparsa degli asterischi e dello schwa? La semantica è liquida, le parole vengono svuotate del loro significato e riempite arbitrariamente di nuovi contenuti».
Carlo ha ricordato come persino la proprietà privata, secondo alcuni slogan del World Economic Forum, rischi di essere definita “liquida”: «Non possederai nulla, ma sarai felice». E ha proseguito: «Anche l’identità è diventata liquida: amore liquido, famiglia liquida, identità fluida. È un vero tsunami culturale».
L’obiettivo però non era spaventare, ma invitare a guardare con spirito critico e personale. «Noi dobbiamo educare a un pensiero che abbia struttura, che non sia liquido» ha ribadito. Perché, come ci ha ricordato, «la libertà educativa esiste solo se ci mettiamo in gioco, se siamo presenti, se siamo protagonisti».
Elisa Rudel: identità e cuore nell’era digitale
La seconda relazione della mattina è stata affidata alla psicologa e psicoterapeuta Elisa Rudel, da anni impegnata nei progetti educativi con Articolo 26. Il suo intervento aveva un titolo molto evocativo: “Identità e cuore: una riconnessione sempre più necessaria”.
Elisa ha iniziato riconoscendo che, quando si parla di giovani e tecnologia, gli adulti sono spesso sopraffatti dall’ansia. «Ogni giorno» ha detto «ci arrivano notizie di rischi: dipendenza, perdita di sonno, ansia, truffe. Questo crea un clima di paura. Ma l’educatore non può partire dalla paura».
Ha denunciato come spesso le scuole reagiscano con misure riduttive: vietare i cellulari, imporre controlli. «Ma vietare non basta. Il divieto rassicura gli adulti, ma non crea consapevolezza nei ragazzi. Non produce cambiamento».
La chiave, ha spiegato, è cercare il significato affettivo e simbolico dell’uso della rete. «Quale bisogno sta esprimendo quel ragazzo quando passa ore online? Quale esigenza evolutiva si manifesta dietro un abuso tecnologico?».
Con esempi tratti da un progetto di “disconnessione consapevole” portato avanti insieme ad Articolo 26 in alcune scuole, Elisa ha raccontato come, quando ai ragazzi si chiede di riflettere prima sul senso del loro stare online, spesso emergono vuoti identitari profondi. «Molti hanno scoperto di non sapere nemmeno quali fossero i loro talenti. E quando li abbiamo invitati a disconnettersi, hanno sperimentato la bellezza di ritrovare rapporti familiari, la lettura, hobby dimenticati».
Ha invitato genitori e insegnanti a cambiare atteggiamento: non più demonizzare o patologizzare, ma avvicinarsi con curiosità. «Avete mai chiesto a un figlio: cosa guardi? Quali videogiochi ti appassionano? Chi sono i tuoi personaggi preferiti?». Solo entrando nel loro mondo con rispetto possiamo davvero colmare il divario generazionale.
Osvaldo Poli: l’adolescenza non è una malattia
Il terzo intervento della mattinata, affidato allo psicologo e scrittore Osvaldo Poli, è stato un vero e proprio piccolo spettacolo di intelligenza e ironia. Il titolo: “L’adolescenza non è una malattia”.
«Ho fatto chilometri per portarvi buone notizie» ha esordito, strappando subito sorrisi. «La prima è che l’adolescenza non è una malattia. Nonostante venga spesso descritta come età difficile, età dei disagi, periodo pericoloso, l’adolescenza è una fase bellissima e fondamentale della crescita».
Con ironia ha raccontato le ansie dei genitori: «Molti vorrebbero un incantesimo per far passare la figlia da 14 a 24 anni in una notte, evitando tatuaggi, gravidanze indesiderate e ragazzi sbagliati. Per i maschi, invece, il sogno è saltare l’età dei maranza, con denti d’oro e calzini di spugna».
Ma dietro la battuta, Poli ha sottolineato il cuore del suo messaggio: «L’adolescenza non è ribellione, non è trasgressione, non è malattia. È il tempo in cui i ragazzi scoprono le loro motivazioni personali per aderire al bene e al vero. È l’interiorizzazione del valore».
Ha invitato i genitori a riconoscere che i figli non sono fogli bianchi: «Nascono con un software preinstallato, con caratteri e temperamenti diversi. Noi non li creiamo, li accompagniamo. Il nostro compito non è controllare, ma aiutare a tirar fuori il meglio».
Poli ha riconosciuto che per i genitori c’è un momento difficile: l’accettazione dell’impotenza. «C’è un giorno in cui ci rendiamo conto che non possiamo più controllare tutto. È un passaggio doloroso, ma fondamentale. Da lì in poi dobbiamo cambiare linguaggio: non più il dialogo di confidenza o di convincimento, ma il dialogo di responsabilizzazione».
La sua conclusione è stata un inno alla speranza: «L’adolescenza è un miracolo. È il tempo in cui i ragazzi diventano persone forti, libere e moralmente integre. È giusto lasciare un pianeta migliore ai nostri figli, ma è ancora più importante lasciare figli migliori al nostro pianeta».
Cesare Peroncini: il Buono Scuola e la libertà di educazione
Il pomeriggio si è aperto con l’intervento di Cesare Peroncini, insegnante di filosofia e storia in un liceo di Milano, papà di otto figli e referente lombardo di Articolo 26. Con tono vivace ha scherzato sul difficile compito di parlare subito dopo pranzo, ma ha subito catturato l’attenzione raccontando la sua esperienza nel coordinamento nazionale per il Buono Scuola.
«Quando mi hanno chiesto di occuparmene» ha ricordato «ho pensato a una frase che mi colpì da ragazzo, di don Giussani: ‘Mandateci in giro nudi, ma liberi di educare’. È questo il cuore della questione: la libertà di educazione».
Ha ripercorso la storia della legge sulla parità scolastica del 2000, che ha sancito in teoria l’uguaglianza tra scuola statale e scuola paritaria, ma nei fatti non ha garantito la possibilità per tutti di scegliere liberamente. «Non si tratta di dare soldi alle scuole dei ricchi» ha ribadito, «ma di permettere anche ai più poveri di scegliere la scuola che ritengono migliore per i propri figli».
Il Buono Scuola nazionale, ha spiegato, sarebbe una quota capitaria destinata alle famiglie, da spendere nella scuola che preferiscono. «In questo modo la libertà educativa diventa reale, non solo sulla carta».
Ha raccontato come, per la prima volta dopo venticinque anni, tutte le associazioni si siano ritrovate unite per chiedere una cosa sola: applicare davvero la parità. «Non più contributi a pioggia, non più assistenzialismo, ma diritti costituzionali da rispettare».
Il suo intervento si è concluso con un appello: «Dobbiamo risvegliare le coscienze. Raccontare, sensibilizzare, non delegare. Perché i diritti scritti sulla carta valgono solo se c’è un popolo che li rivendica».
Consenso informato: Mazzeschi e Cortellessa
La parte centrale del pomeriggio è stata dedicata a un tema che ci sta particolarmente a cuore: il consenso informato.
Elisabetta Mazzeschi ha aperto il suo intervento leggendo un messaggio di saluto del Ministro Valditara, che ha espresso «vivo apprezzamento per il lavoro di Articolo 26 e per l’importanza del ruolo della famiglia nella crescita educativa». Un segnale importante: dopo dieci anni di battaglie, anche le istituzioni iniziano a riconoscere la necessità di affrontare seriamente questo tema.
«Per anni ci hanno detto che il gender non esiste» ha detto Elisabetta. «Ma i fatti ci dicono altro». E ha portato una carrellata di esempi concreti: progetti scolastici in cui si parlava di pornografia con attrici di film a luci rosse, corsi sulla fluidità di genere proposti a bambini di dieci anni, assemblee con attivisti privi di competenze educative. «Non si tratta di censurare» ha precisato «ma di garantire che i genitori siano informati e possano scegliere».
Marco Cortellessa ha raccolto il testimone sottolineando nella sua relazione che il consenso informato non limita affatto l’autonomia dei docenti. «Un genitore che firma il bilancio della scuola, soggetto alla Corte dei Conti, non può essere considerato inadeguato a dire sì o no a un progetto extracurricolare. È una questione di trasparenza e fiducia».
Consenso informato: Bianchini
A chiudere la sessione è stata l’avvocato Daniela Bianchini, membro del CSM e del Centro Studi Livatino: nel suo intervento ha inquadrato il consenso informato nel quadro costituzionale. «Non è un attacco all’autonomia scolastica» ha detto, «ma uno strumento di garanzia. Permette di mettere tutti d’accordo e rafforza il patto tra scuola e famiglia».
Ha citato un pensiero di Erasmo da Rotterdam, scritto nel 1530 ma attualissimo: «I genitori sorveglieranno maestro e figlio insieme e non deporranno mai questa responsabilità». Parole che hanno risuonato come un monito: la corresponsabilità educativa non è un ostacolo, ma un fondamento.
Daniele Cametti Aspri: Orientare allo sguardo
Un momento particolarmente suggestivo della giornata è stato l’intervento video di Daniele Cametti Aspri, fotografo, filmmaker e nostro amico che da anni collabora con Articolo 26. Con uno stile diretto e personale, Daniele ha raccontato la sua esperienza di uomo cresciuto nella “società delle immagini”, a volte vittima inconsapevole dei messaggi trasmessi dai media.
«Le immagini hanno un potere fortissimo» ha detto. «Scavalcano le nostre barriere razionali e ci toccano direttamente il cuore. Se non comprendiamo le immagini, perdiamo l’85% della nostra comunicazione».
Attraverso un video di grande impatto visivo, ha portato il pubblico in un viaggio attraverso la storia della comunicazione: dal linguaggio alle pitture rupestri, da Giotto che dipingeva una mosca così realistica da ingannare Cimabue, fino al cinema e alla società contemporanea. Ha ricordato come le immagini non siano mai neutre, ma modellino la nostra percezione della realtà.
Il suo messaggio è stato chiaro: dobbiamo educare i ragazzi a orientare lo sguardo, a leggere criticamente le immagini, a riconoscere quando diventano manipolazione. Perché la libertà educativa passa anche da qui: dall’essere consapevoli di ciò che vediamo e di come lo interpretiamo.
Carlo Stacchiola: intelligenza artificiale e umanità
A chiudere i lavori è tornato Carlo Stacchiola, con una relazione dal titolo ironico e insieme provocatorio: “Com’è umana lei!”. Un tuffo nell’attualità più dirompente: l’intelligenza artificiale.
Carlo ha spiegato con chiarezza come funzionano le reti neurali, i modelli linguistici, i sistemi che oggi sorprendono per le loro capacità. «L’IA sa tantissime cose» ha detto, «ma possiamo dire che conosce? Conoscere significa dare significato, legare un’informazione all’esperienza cosciente. L’uomo può sapere e conoscere, il computer può sapere, ma può conoscere?».
Ha citato il fisico Federico Faggin, ricordando che ciò che distingue l’uomo dalle macchine è la coscienza, il libero arbitrio, la capacità di provare emozioni ed empatia. «La vera intelligenza non è calcolo» ha ribadito «ma integrazione di mente e cuore».
Ha introdotto i concetti di “onlife” e “datificazione dell’umano”, mostrando come la tecnologia stia entrando sempre più nelle nostre vite. Ma ha lanciato un monito: «Il rischio più grande non è che le macchine diventino troppo umane, ma che noi smettiamo di esserlo. Il rischio è cedere alla tentazione di comportarci come macchine».
Conclusioni: cuore pieno, mente accesa
La giornata si è chiusa con un clima di entusiasmo e speranza. Nelle parole dell’Assessore Marta, «non sono i nostri figli ad avere problemi, se non quelli derivanti dalla nostra incapacità di essere adulti di riferimento». Nelle testimonianze dei partecipanti, la consapevolezza di aver vissuto una giornata di formazione e comunità.
Un genitore, prendendo il microfono, ha sintetizzato così il sentimento diffuso: «Torno a casa con il cuore pieno e la mente accesa».
Ecco il senso di TodiEdu 2025: mettere insieme cuore e mente, scuola e famiglia, competenza e passione. Perché solo così possiamo davvero puntare in alto e lasciarci sorprendere.